Cupido viene deriso da Apollo e così si vendica dimostrando al dio del sole la potenza del suo arco: a lui è destinata la freccia d’oro che lo fa innamorare dell’ignara Dafne, a lei quella di piombo che la farà scappare da quell’amore. Scoccate le frecce, trafitte le vittime, via alla caccia. Così Ovidio ci racconta nelle Metamorfosi la famosa fuga d’amore che si conclude con la metamorfosi, appunto, della ninfa in alloro, momento rimasto per sempre pietrificato nella celebre statua del Bernini.
Robustelli sceglie la fuga, disperata per entrambi, per la preda e per il cacciatore, e l’affida quasi totalmente all’acquarello. Non c’è una narrazione degli eventi quanto momenti diversi della corsa trafelata, dei pensieri che si sprigionano dalle teste dei due e che si trasformano a loro volta in altro, inebriando e colorando i luoghi che Apollo e Dafne attraversano.
Da quelle bocche aperte sentiamo urlare parole d’amore dell’uno e di paura dell’altra, oltre al respiro affannoso della corsa: è l’azione, emotiva e fisica, che li avvolge, li travolge, li trasforma perché, trafitti entrambi dalla freccia, mutano sempre, anche da fermi, sciogliendosi in emozioni. Dafne fugge spaventata, Apollo la insegue infuocato e correndo attraverso la natura e le sue sfumature, le si fondono e ne vengono assorbiti, ne assumono le sembianze, ora con le chiome marine fatte di alghe e di pesci, ora con rami, foglie e alberi della campagna. Non è la freccia a cambiarli quanto la corsa in sé: Cupido innesca il cambiamento ma entrambi si vestono di ciò che incontrano lungo il cammino. Nella fuga tanto più è solido il passo, tanto più le chiome e i turbini di emozioni svolazzano impigliati solo nelle sottili sfumature: mentre loro si inseguono e si sfuggono, sono queste a toccarsi, a scontrarsi, ad amalgamarsi in un fluido dialogo. I sentimenti di Apollo trattengono l’amata per attirarla a sé, quelli riluttanti di Dafne, prima soffici come piume, diventano ora rami taglienti, aculei che feriscono lui tanto da fargli scivolar di dosso il color del sentimento. Apollo allora plana dal cielo, arriva a sfiorare i capelli di Dafne mossi dal vento ma è ormai tardi, la terra l’abbraccia già e l’attira a sé: Dafne non c’è quasi più, il tronco le avvolge le gambe e dalle braccia germogliano foglie, baciate dal Sole, quel dio a cui hanno voltato le spalle e di cui ora cingeranno il capo.
Anna Terranova